La nostra unica casa: in grande pericolo Ce ne parla un famoso scienziato ambientalista |
di James Lovelock
(The Independent)
Nella civiltà umana il pianeta ha una risorsa preziosa. Noi non siamo solo una malattia. Dovremmo essere il cuore e la mente del pianeta, non la sua malattia
La mia teoria di Gaia vede la terra come un essere vivente che, chiaramente, come ogni entità dotata di vita, può godere di buona salute oppure essere malato. Gaia mi ha reso un medico planetario e io ho preso la mia professione seriamente. Adesso, mi trovo nella situazione di dover riferire delle brutte notizie.
I centri climatici in giro per il mondo corrispondenti ai laboratori di patologia di un ospedale hanno riportato le condizioni di salute della Terra. Gli specialisti del clima la considerano estremamente malata, e ritengono che potrebbe presto prendersi una febbre morbosa che potrebbe durare 100.000 anni. Devo dirvi, in quanto membro della famiglia Terra e come parte intima di essa, che voi e soprattutto la vostra civiltà siete in grande pericolo.
Proprio come fanno gli animali, il nostro pianeta è rimasto in salute per una vita intera: molto più dei tre miliardi di anni della sua esistenza. È proprio una sfortuna che abbiamo iniziato a inquinarlo in un periodo in cui il sole brucia troppo per poterci consolare. Abbiamo fatto prendere a Gaia una febbre pesante, e presto le sue condizioni peggioreranno fino ad assomigliare a un coma. Già altre volte Gaia è arrivata a questo punto ed è stata ricoverata, ma ci sono voluti più di 100.000 anni. Noi siamo sia i responsabili, sia quelli che ne soffriranno le conseguenze. Mentre il secolo avanza le temperature aumenteranno di otto gradi centigradi nelle zone temperate e di cinque gradi centigradi ai tropici.
Molte aree tropicali diventeranno deserte terre di arbusti, e perderanno la loro funzione regolatrice. A queste aree va aggiunto il 40% della superficie terrestre che abbiamo svuotato per nutrirci.
Curiosamente, l’inquinamento atmosferico dell’emisfero settentrionale riduce il riscaldamento globale riflettendo la luce solare verso lo spazio. Questo “global dimming” è transitorio e potrebbe scomparire tra qualche giorno come il fumo di cui è costituito lasciandoci completamente esposti al calore dell’effetto serra globale. Ci troviamo all’interno di un delirio climatico, casualmente mantenuto freddo dai fumi. Prima che questo secolo finisca miliardi di noi moriranno e i pochi che sopravvivranno vivranno nell’Artico dove il clima resterà tollerabile.
Avendo fallito nel comprendere come la Terra regoli il suo clima e la sua composizione, abbiamo tentato, agendo come se fosse compito nostro, di regolarli noi. Facendo questo, condanniamo noi stessi alla peggiore forma di schiavitù.
Se scegliamo di essere i controllori della Terra, allora diventiamo responsabili nel tenere l’atmosfera, l’oceano e la superficie terrestre nelle giuste condizioni per consentirne l’esistenza. Un compito che troveremo presto impossibile, un servizio che, fino a un poco tempo prima che trattassimo Gaia così male, ci veniva reso gratuitamente da Gaia stessa.
Per comprendere quanto sia assurdo, provate a immaginare come regolereste la vostra temperatura corporea o la composizione del vostro sangue. Coloro che soffrono di reni conoscono l’infinita difficoltà quotidiana del dover regolare l’acqua, il sale e il consumo di proteine. La stabilizzazione tecnologica della dialisi aiuta, ma non restituisce la salute ai reni.
(segue nella colonna di destra, cliccare qui)
|
|
A proposito dei lavori a San Sigismondo per la trasformazione in convento di clausura
La tesi da sostenere nel restauro è quella della conservazione...
di Anna Lucia Maramotti (Politecnico di Milano)
Esistono opere cariche di memoria. Si tratta di quel vasto settore degli oggetti o degli interventi dell’uomo sulla natura che ne testimoniano la presenza. Gli spazi fisici e immaginari attuali sono segnati da queste entità, che lontano dall’essere solo rimembranze, hanno un congruo spessore: costituiscono il mondo abitato dall’uomo d’oggi.
In questi manufatti s’annida il pungolo della morte. La materia che li costituisce si sfalda nel tempo, la memoria umana va verso l’oblio.
A queste considerazioni si deve assommare l’esperienza del restauro.
Con alterne vicende le teorie del restauro, da quando questo si è costituito come prassi autonoma rispetto all’architettura e alle arti figurative, oscillano fra due finalità: quella di salvare l’opera d’arte o quella di salvare il documento storico. Fra le due istanze si è individuata una sorta d’incompatibilità. Il restauratore, in base a sue convinzioni, dovrebbe optare fra l’una o l’altra.
Questo aspetto diventa fondamentale nella cultura del restauratore al punto che le «carte del restauro» segnalano le due diverse tendenze.
In ogni parte d'Europa la prassi del restauro non sempre è in sintonia con quanto definito in sede teorica. Fra teoria e prassi esiste uno iato. Questo fenomeno denota come l'attività del restauratore sia ancora troppe volte ritenuta un mestiere che richiede abilità (quasi da falsario) e non una ricerca che deve partire dall'individuazione del valore del restauro come disciplina. La faciloneria con la quale ci si accosta a tale attività (faciloneria per altro costantemente presente in ogni settore professionale) ci dà il senso del disagio prodotto dalla separazione dell'«arte» dal «documento». Tutto ciò è causato dal rifiuto della teoresi e dall'enfatizzazione della manualità e del tecnicismo. Il restauratore è vero restauratore quando possiede abilità manuali e quando sa utilizzare i mezzi offerti dalla tecnica? Così facendo, si ripiegherebbe su una professionalità che si riappropria del passato (sia questo individuabile nell'opera artistica o nel documento storico) attraverso un lavoro di bottega. L'inattualità di una tale professione verrebbe riscattata dall'utilizzazione di strumenti tecnici di cui dispone il restauratore che gli vengono offerti dall'industria garante dell'efficacia del prodotto. La personalità umana viene mantenuta solo apparentemente attraverso l'uso della mano, la mano è ridotta a strumento che esegue: è alla stessa stregua della macchina. La responsabilità è infatti demandata a un deus ex machina che è la tecnica. Questa, al di sopra delle parti, decide; non essendo suo compito quello d'individuare i valori, le sue decisioni sono cieche. Qualsiasi risoluzione è ritenuta valida se permette alla tecnica d'operare. Lo scopo primo della tecnica è quello della sua autoaffermazione, il secondo è quello di pervenire a una gestione illimitata del mondo. L'uomo può così scaricarsi da ogni responsabilità e assumere la funzione di macchina.
Solo recentemente gli studi sulla cultura materiale in ordine a considerazioni di carattere storico-sociale e a rilievi estetologici (...) potenziano l'istanza storica e trasformano la disciplina del restauro in quella della conservazione. (...) L'istanza storica, che pretende di possedere un carattere di scientificità, nel momento dell'effettiva scelta opera una discriminazione fra evento ed evento.
SAN SIGISMONDOLa grande inchiesta sugli interventi che stanno modificando la storicità e la antica suggestione di una gemma dell'architettura cremonese e italiana, San Sigismondo
Foto e documenti si vanno a vedere e leggere cliccando sulle tre parti in cui è diviso il servizio:
SEZIONE 1
SEZIONE 2
SEZIONE 3
|
Il tempo del restauratore non è certo il tempo del conservatore. La discriminazione fra evento importante (perché risponde a precise esigenze testimoniali celebrative) ed evento da cancellare (perché segnala i fallimenti della storia) risponde a parametri ideologici che ben poco hanno in comune con la consapevolezza che la storia è stata scritta nel tempo. Il tempo ha assunto una propria fisionomia, quella che la storia a esso ha impresso.
Neppure Dio può cambiare la storia! L'uomo tenta di manipolare gli eventi per rintracciare il percorso che l'ha portato all'attualità presente. Perciò sconvolge le testimonianze e a tale scopo ha inventato il restauro, una sorta di trattamento cosmetico del passato. La storia viene così imbellettata e fiocchettata.
Non avendo vinto la morte l'uomo tenta di nasconderne i segni. Non tutti gli appaiono però negativi. Ritiene che il destino dell'exitus finale accomuni la vita umana a quella dell'oggetto: testimonianza della sua presenza sulla terra. I segni dell'invecchiamento dovuti al tempo vengono mantenuti. L'uomo non accetta di essere però l'artefice del degrado di quanto egli stesso ha prodotto: l'oggetto. Tenta un intervento di «aggiustamento». Se di fronte al tempo cronologico ostenta per sé e per il manufatto dignità, non altrettanta dignità manifesta per ciò che testimonia il suo disonore. All'atteggiamento celebrativo si unisce quello etico: «non si è mai affermata la necessità della cancellazione delle tracce del tempo naturale quando esse siano documento dell'età e non giungano alla dissoluzione della materia, invece sono sottoposti a giudizio i segni degli eventi provocati dall'uomo» (Amedeo Bellini).
Forse è necessario passare dal restauro dell'arte alla conservazione della cosa.
Se agli inizi del secolo si prestava attenzione solo ad alcune categorie di «fatti storici», in seguito questa s'allarga a ogni fenomeno culturale. Anche i segni del lavoro dell'uomo vanno conservati. II «fare» assume un valore etico in quanto è testimonianza della civiltà. Nella materia l'homo faber lascia viva traccia di sé e della sua epoca. Il valore storico dell'oggetto consiste nella sua capacità di testimoniare la propria identità originale.
Quanto al giudizio estetico, esso ha consistenza puramente epocale. Da ciò segue la necessità di salvaguardare l'opera al di là del giudizio estetico. L'oggetto va conservato a partire dalla costatazione che una sua perdita costituisce una mancanza «nel nostro bagaglio culturale» e un impoverimento «in relazione alla capacità di colmare il nostro moderno bisogno artistico». Gli oggetti comunicano la propria consistenza ontica, la propria capacità testimoniale e quella d'uso. Questo schema permette d'operare le scelte più adeguate in campo di tutela.
(Per un maggiore approfondimento di questi temi fondamentali: “Anna Lucia Maramotti Politi: “Passato, Memoria, Futuro” - La conservazione dell’architettura - Quaderni del Dipartimento di Conservazione e Storia dell’Architettura del Politecnico di Milano - Guerini Studio) |
|
(Dalla colonna di sinistra)
Il mio nuovo libro The Revenge of Gaia è uno sviluppo di questi pensieri, ma a questo punto potreste chiedermi perché c’è voluto così tanto per riconoscere la vera natura della Terra. Forse proprio perché la visione di Darwin era così giusta e chiara che c’è voluto tutto questo tempo per digerirla. A suo tempo, poco si sapeva sulla chimica dell’atmosfera e degli oceani, e ci sarebbe stato poco motivo per lui di chiedersi se gli organismi modificassero il loro ambiente naturale o se si adattassero ad esso.
Se si fosse saputo allora che l’ambiente e la vita erano così strettamente connesse, Darwin avrebbe realizzato che l’evoluzione non riguarda solo gli organismi, ma l’intera superficie terrestre. Avremmo guardato allora alla Terra come se fosse viva, e avremmo saputo che non potevamo inquinare l’aria o utilizzare la pelle del pianeta, le sue foreste e l’ecosistema oceanico come mere risorse di produzione per soddisfare i nostri corpi e rifornire le nostre abitazioni. Avremmo capito istintivamente dell’inattacabile natura degli ecosistemi in quanto parte integrante della Terra vivente.
Dunque, come dovremmo comportarci? Prima di tutto dobbiamo avere ben chiaro quello che sta avvenendo e capire che abbiamo poco tempo per agire; dopodiché ogni nazione e ogni comunità deve trovare il modo migliore per gestire le proprie risorse al fine di sostenere la civilizzazione per il tempo che hanno a disposizione. La civilizzazione si traduce in energia intensiva e non possiamo fermarla senza provocare un incidente, così abbiamo bisogno della sicurezza di un potente rallentamento. S u queste isole britanniche, siamo abituati a pensare a tutta l’umanità e non solo a noi stessi: il cambiamento ambientale è un fenomeno globale, ma le conseguenze con cui dobbiamo scontrarci sono qui nel Regno Unito.
Sfortunatamente la nostra nazione è così urbanizzata da somigliare ad una grande città, abbiamo solo pochi acri di agricoltura e di foreste. Siamo dipendenti dal commercio mondiale per il nostro sostentamento; i cambiamenti climatici non permetteranno rifornimenti regolari di cibo e di carburanti dall’estero.
Potremmo crescere abbastanza da nutrire noi stessi con la dieta della seconda guerra mondiale, ma l’idea secondo cui c’è abbastanza terra da conservare per fare crescere biocarburanti, o essere il luogo di fattorie eoliche, è assurda. Faremo del nostro meglio per sopravvivere, ma sfortunatamente non mi sembra di vedere gli Usa o le emergenti economie di Cina e India predisporre i tagli necessari in tempo, e sono loro la fonte principale di emissioni. Il peggio sta per avverarsi e i sopravvissuti dovranno adattarsi a un inferno climatico.
Forse la cosa più triste è che Gaia perderà quanto o persino più di noi. Non soltanto si estingueranno interi ecosistemi. Nella civiltà umana il pianeta ha una risorsa preziosa. Noi non siamo solo una malattia. Siamo, attraverso la nostra intelligenza e la nostra comunicazione, il sistema nervoso del pianeta. Attraverso di noi, Gaia ha visto se stessa dallo spazio, e comincia a capire la sua collocazione nell’universo.
Dovremmo essere il cuore e la mente del pianeta, non la sua malattia. Così lasciateci essere coraggiosi e smettere di pensare soltanto ai nostri bisogni e diritti. Lasciateci capire come siamo stati noi ad aver ferito la Terra, e come siamo noi ad aver bisogno di farci la pace. Dobbiamo farlo adesso, finché siamo abbastanza forti da negoziare, e visto che non siamo solo una folla selvaggia condotta da brutali signori della guerra.
Prima di tutto, dobbiamo ricordare che siamo parte del pianeta, e che questo pianeta è la nostra unica casa.
-------
*James Lovelock, medico, biofisico e chimico, è uno scienziato ambientalista indipendente. Ha formulato l’ipotesi che la terra sia un sistema capace di autoregolarsi, un immenso organismo vivente che non rimane passivo davanti a ciò che lo minaccia. Dal punto di vista scientifico, uno degli aspetti più importanti della teoria di Lovelock consiste nel tentativo di innovare la teoria dell’evoluzione: ad evolversi non sarebbero le singole specie ma anche il più grande organismo vivente esistente, il nostro pianeta
Fonte: http://comment. independent.co.uk/
commentators/
article338830.ece
Tradotto da Alessandro Siclari per Nuovi Mondi Media
La pagina è aggiornata alle ore 9:31:20 di Gio, 13 apr 2006
|